La stagione giallorossa era iniziata con i migliori auspici, con un team che aspettava solo il fischio d’inizio per dimostrare all’Italia intera che era arrivato il loro momento, l’anno giusto per trionfare. Per mettere alle spalle tutti quei critici, quegli esperti di pallone che parlano sempre di una città difficile, di un ambiente particolare, ma soprattutto per mettere dietro di se tutte le altre pretendenti.
Ad 8 gare dal termine tutto ciò che poteva essere non è stato, i sogni son rimasti tali, riposti nel cassetto in attesa di tempi migliori. Eppure i tifosi erano convinti di poter tornare a strillare, ad esultare, a piangere lacrime di gioia e a guardare gli altri dall’alto verso basso, per essere di nuovo protagonisti della storia e non semplici comprimari.
Quando si giunge quasi al termine di un percorso si fanno dei bilanci e si cerca di capire cosa sia andato bene e cosa, purtroppo, lo sia andato meno. In questi cammini però, c’è sempre un punto più alto ed uno più basso, il top e il down, l’apice e il fondo, la vetta e l’estremità inferiore. Individuare questi due momenti degli ultimi 8 mesi giallorossi non è facile, perché si potrebbe scambiare un punto di massimo o minimo relativo con uno assoluto e perché il calcio è qualcosa di assolutamente soggettivo.
I due episodi selezionati, si assomigliano, si intrecciano l’uno con l’altro, ma sono completamenti diversi nella visione e concezione di due assoluti protagonisti di questo grande scorcio di stagione. Lo zero a zero contro il Napoli dello scorso 13 dicembre e l’eliminazione dalla Champions League contro il Real Madrid. Un pareggio ed una sconfitta, quindi un punto su 6, che però furono accolti entrambi con soddisfazione dai supporters capitolini.
Down: La Roma terminava lo scontro con i partenopei del fenomeno Higuain, senza subire reti, con il possibile appiglio di un gol dubbio, a favore, annullato. L’allora allenatore Garcia si mostrava, nella conferenza post partita, felice e raggiante per non aver perso e per aver fermato la corazzata di Sarri. Ma agli occhi degli sportivi italiani il dominio del Napoli era stato evidente, con il 58% di possesso palla a favore degli azzurri, con il baricentro di Hamsik e compagni posizionato a 59,34 metri, ben 7 metri oltre la media nazionale, e quello dei giallorossi a 43,49metri, ben 12 sotto la stessa media.
La Roma erigeva muri e barricate e il Napoli non riusciva a scavalcarle.
Dello spettacolo neanche l’ombra, si è giocato quasi ad una porta sola, con chi si difendeva che ha prodotto la miseria di 5 ripartenze totali, una ogni 18 minuti. Numeri che rappresenterebbero la sfida tra una grande e una neopromossa, tra Davide e Golia. Eppure solo qualche tempo prima, chi veniva considerato favorito per vincere lo scudetto risedeva all’ombra del Colosseo e non del Maschio Angioino.
Il calcio propositivo e arrogante annunciato dalle parti di Trigoria era morto e sepolto. La lunga agonia di risultati negativi e prestazioni desolanti, che si protraevano da almeno un mese, furono respinti da chi intravedeva e scambiava nello squallore di quei 90’, il momento da cui ripartire. Senza accorgersi che si stava raschiando il fondo, affermando di esser soddisfatti di qualcosa di cui ci si doveva solo vergognare.
Top: La doppia sfida contro le Merengues ha risollevato gli animi di chi, già dal sorteggio di Nyon, si dava per spacciato. La Roma, senza vita, di Garcia sembrava lontana anni luce, eppure distava solo qualche settimana. Nei 180’ la squadra del nuovo, vecchio, tecnico Spalletti non ha mai dato l’impressione di subire, inerme, la forza avversaria. Ad ogni colpo seguiva un contraccolpo, ad ogni azione una reazione.
Lo stadio Olimpico dopo il primo confronto tributò un applauso ai propri beniamini per quanto fatto, per quanto espresso, per aver provato a giocare a pallone contro chi, effettivamente, più forte lo era davvero. Eppure c’era chi si mostrava smanioso e poco contento, affermando di esser arrabbiato, perché alla fine si era perso.
Questo sentimento fu ancor più lampante quando l’eliminazione venne decretata dal triplice fischio finale al Santiago Bernabeu. I tifosi, presenti e non, applaudivano, ma c’era chi masticava amaro.
Davanti ai microfoni e alle telecamere divenne tutto più evidente, grazie alla mimica e alle parole:”Guai ad esser felici di una sconfitta!”
Spalletti imperioso, dettava la linea da seguire. Testa bassa e lavorare.
La gratificazione dell’eliminazione mostrava il fondo che si era toccato, l’appagamento derivante da una sconfitta, anche se ingiusta e immeritata per quanto mostrato, lascia capire dove il povero tifoso romanista sia arrivato, sia stato condotto, ma dove il tifoso romanista non deve più tornare!
Due emblemi di una stagione travagliata, due esempi di comunicazione e di gestione totalmente differenti che lasciano intuire come mai ci sia stata una netta inversione di risultati e di prestazioni. Perché tutto quello che sembrava nero e da buttare, abbia ripreso vita e colore.
Chi si aspettava l’analisi di Roma-Spezia e Roma-Juve o Roma-Fiorentina non rimanga deluso, ma si è cercato di spiegare come, due casi apparentemente simili, siano in realtà diametralmente opposti; il fondo e la sommità di una parte di stagione, che deve ancora concludersi; con la speranza di scalare e raggiungere la cima più alta.