L’ex portiere giallorosso Paolo Conti è intervenuto durante “Bar Forza Lupi”, trasmissione in onda su Centro Suono Sport. Ecco uno stralcio delle sue dichiarazioni.
Com’è diventato calciatore?
“Casualmente, non era mia intenzione diventarlo. Il caso ha voluto che un giocatore partisse per fare il militare e l’allenatore mi invitasse a svolgere le preparazione atletica. Ricordo che si parlava di un mio approdo in Serie B, fui spinto dalla curiosità e iniziai a giocare”.
All’inizio giocava in attacco?
“Sì, era un ruolo che mi piaceva di più perché partecipavamo maggiormente al gioco. In parrocchia, però, giocavo un tempo in porta e un tempo in attacco, ero capocannoniere nonostante giocassi avanti un tempo solo”.
L’aver giocato in attacco è stato importante quando è passato in porta?
“Io interpretavo il ruolo in maniera molto personale, riuscivo ad anticipare le conclusioni. Adesso il ruolo del portiere è molto cambiato, è un giocatore a tutti gli effetti perché partecipa alla costruzione del gioco”.
Lei indossava spesso maglie colorate…
“Sì, la generazione precedente poteva indossare solo maglie nere, io invece indossavo una divisa che si distingueva dalle altre”.
I portieri erano liberi di scegliere la maglia da indossare?
“Avevamo una certa libertà, la nostra era una muta che andava in contrasto con gli altri. Se la Roma giocava con la maglia tradizionale, mettevo quella arancione. C’era una certa autonomia al contrario di oggi”.
Ha raggiunto numeri importanti in carriera…
“Per farlo bisogna essere professionisti fino in fondo, amare il ruolo che si ricopre. Ho imparato ad amare il calcio, le squadre nelle quali ho militato e i tifosi corrispondenti. Sono entrato in punta di piedi e ho dato tutto me stesso”.
La stagione 1974/1975 è stata la migliore alla Roma?
“Dal punto di vista dei risultati sì, personalmente credo che ogni partita s’impari qualcosa e le stagioni successive sono state quelle dove ho maturato tanta esperienza. Quella stagione in particolare, sul piano dei risultati, del gioco di squadra, sul piano della rivalsa nazionale è stata probabilmente quella che mi ha lanciato come titolare”.
Perché si è distaccato dal mondo del calcio?
“Non ho voglia di andare a prendere freddo allo stadio (ride, ndr). A parte questo, non è un calcio che mi entusiasma, l’essenza del calcio è lo spettacolo puro. Oggi è un calcio troppo essenziale e gli allenatori penso abbiano grandi colpe, non si può essere così essenziali, bisogna concedere qualcosa allo spettacolo”.
Che rapporto ha avuto con la Roma e con i romanisti?
“Sono legato alla città di Roma, quando ci torno mi arrabbio perché vorrei vedere delle cose diverse. Roma mi ha fatto diventare uomo, è l’unica squadra che riesce a darmi emozioni, ho grande rispetto e riconoscenza”.