Nainggolan: “Vado in guerra per i miei compagni, anche quando si perde”

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Radja Nainggolan si è raccontato sulle pagine del portale rollingstone.it. Il centrocampista belga ha rilasciato alcune dichiarazioni anche sulla propria vita privata e sulla gestione dei suoi profili social (affidata completamente a lui, a differenza di altri che danno il tutto in gestione a delle società preposte).

La scorsa estate in rete ha spopolato un video del n. 4 giallorosso intento a scatenarsi a Ibiza: “È stata una bella serata. Una festa che cominciava in spiaggia e poi si spostava in discoteca.  Non ho voglia di stare tutte le sere a casa come altri che fanno solo casa-campo-casa-campo. Penso che nei momenti giusti bisogna godersi la vita e ogni tanto scatenarsi un po’ “. 

Quest’anno sei stato avvistato al concerto di Snoop Dogg e a quello di Stromae: “Quante cose si sanno di me… Stromae l’ho conosciuto partecipando con tutta la Nazionale belga a un suo videoclip, prima del Mondiale 2014. Del concerto di Snoop Dogg ho avuto i biglietti in regalo e ci sono andato”.

Sei nato ad Anversa, città di moda e musica: “Non ho tanto tempo per tornarci, giusto quando gioco in Nazionale. È una città molto viva, non così diversa da Milano o Roma. Vabbè, fa molto più freddo. Se mi chiedi di dove sono ti dirò sempre di Anversa, perché ci sono cresciuto. Ma penso che ormai il mio futuro sarà in Italia, sono troppo legato a questo Paese”.

In questi anni hai capito se c’è un rapporto tra il modo in cui uno sta in campo e il modo in cui vive fuori dal campo? “Ho capito che finché uno va bene in campo va bene anche fuori. Fuori dal campo io non faccio danni, non faccio male a nessuno. Vivo la mia vita, mi diverto, mi vedono in giro”.

Nel calcio la grinta può risolvere tutto? “A me piacciono i giocatori così. Però è sempre importante giocare accanto a giocatori tecnici, bravi, abili”.

Allora la grinta è importante nello spogliatoio: “Io sarei uno che va d’accordo con tutti. Ma in campo voglio solo vincere, e ogni tanto può esserci qualche battibecco con chi non mi segue. E tutto finisce lì. Comunque, quando c’è da dire una cosa la dico tranquillamente”.

Meglio dirle, le cose: “Meglio dirle, così si migliora tutti insieme. Sennò sei uno finto, e una squadra finta non vince”.

Hai conosciuto tanti giocatori “finti”, come dici tu? “Non lo so. Parlo per me: io sono uno che anche quando gioca la partitella con gli amici vuole vincere. E purtroppo, quando qualcosa non va, lo voglio far capire a tutti”.

“Purtroppo”, dici? Sei uno che anche su Twitter non le manda a dire. “Twitter è importante per stare in contatto con i tifosi. È vero, alle provocazioni rispondo spesso. Io sono così. Devo essere rispettato, sia come giocatore che come persona”.

Lo gestisci tu, il tuo account Twitter, o ti fai aiutare? “Faccio tutto io”.

Beh, una volta ti insultavano da in cima alla curva…  “Ti mandano a quel paese ovunque, e se lasci sempre perdere non va bene. Ogni tanto rispondo: fa capire il carattere della persona. Una squadra di calcio è come una famiglia: stai tutti i giorni insieme, vivi insieme… se insultano un mio compagno, io lo difendo. Io vado in guerra per i miei compagni, lo faccio per vincere la partita e lo faccio anche quando si perde”.

I tatuaggi e la cresta sono il tuo costume di scena? Li avresti anche se non fossi diventato così famoso? “Non ti posso rispondere. Quando giocavo a Piacenza e non ero nessuno ho cominciato a farmi i tatuaggi sul braccio. Forse allora non pensavo di farne così tanti, ma quando cominci viene automatico”.

La scorsa stagione hai indossato i lacci arcobaleno alle scarpe, per protesta contro l’omofobia. “Niente di strano. Mia sorella Riana sta con una donna, io la vedo felice e accetto la sua felicità. Per me è importante che possa star bene e vivere come le pare”.

Riana gioca a calcio, vive con te a Casal Palocco. Ci vai mai in centro a Roma? “Conosco tutti i locali. Chiaro che, girando a piedi, se qualcuno mi riconosce sono morto. Però mi piace fare shopping, allora mi incappuccio e faccio una passeggiata in centro”.

So che quando giocavi nel Cagliari vivevi in un paesino: “Era un po’ come Casal Palocco: ci si conosceva tutti e al bar ci si salutava” .

E si parlava di calcio: “No, no! Al bar io sto tranquillo”.

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