Domenico Maggiora, ex calciatore della Roma, è intervenuto ai microfoni di Centro Suono Sport all’interno della trasmissione “Bar Forza Lupi”.
In sei stagioni, dal 1976 al 1982, hai ricoperto più ruoli e vinto due Coppe Italia.
“I primi anni a Roma furono difficili. Poi, con l’arrivo di Viola iniziammo un processo di costruzione che ci portò a vincere due Coppe Italia ed uno scudetto. Giocai in più ruoli, da terzino destro e sinistro, da mediano e da mezzala”.
Il tuo ricordo più bello?
La finale di Coppa Italia del 1980. La giocai da terzino destro. La partita finì in parità e si andò ai calci di rigore. Lì successe qualcosa di incredibile: sbagliammo i primi due tiri, sembrava praticamente finita per noi.
Io e Ancelotti eravamo seduti in panchina, disperati. Mister Liedholm ci fece alzare e ci disse di scaldarci per l’eventualità dei rigori ad oltranza. In quel momento, probabilmente era solo lui a crederci. Ebbene, succede che Tancredi ne para due e noi pareggiamo il conto. Si va ad oltranza: il primo lo tira Ancelotti e segna; il secondo sarebbe toccato a me. Io avevo un’esperienza negativa con i rigori, nelle giovanili della Juventus sbagliai addirittura tre rigori in tre finali e dentro di me speravo in un altro miracolo di Tancredi. Calcia Zaccarelli e Tancredi lo para. Tiro un sospiro di sollievo e vado a festeggiare. Che impresa!”
La formula di quella Coppa Italia era molto diversa rispetto all’attuale.
“Iniziammo ad agosto con un girone preliminare. Le nostre avversarie erano Perugia, Sampdoria, Bari e Ascoli, avversarie toste, che però superammo grazie anche alla spinta del pubblico in casa. Ricordo che all’Olimpico, contro l’Ascoli, vennero a vederci 72.000 persone!”
Qualcosa di impensabile oggi…
“Era un’altra epoca, anche con squadre di media-bassa classifica lo stadio era sempre pieno. E se le cose andavano male, i tifosi non ti abbandonavano”.
Falcao ti considerava fondamentale in mezzo al campo.
“Con Paulo c’era grande stima reciproca. Lui era un giocatore carismatico, come pochi altri. Ma, a Roma, ho conosciuto grandi giocatori, come De Sisti e Di Bartolomei, amici veri, con cui abbiamo condiviso un meraviglioso percorso. L’unico rimpianto è aver lasciato la Roma per trasferirmi alla Sampdoria nell’estate del 1982 e non aver vinto lo scudetto”.
Il calcio del prossimo futuro potrebbe essere senza tifosi allo stadio, per via del coronavirus.
“Dobbiamo fare attenzione, perché stiamo ancora rischiando tutti. Se si vuole tornare a giocare, bisogna farlo a porte chiuse. Ho visto la Bundesliga: è un altro calcio senza pubblico, non è bello. Anche per un calciatore, emozioni e resa in campo sono minori”.