La Roma è una società che ha spesso avuto dei giocatori simbolo romani e romanisti. Giannini, Totti e De Rossi sono solo gli ultimi di numerosi esempi di leader ed emblemi di una piazza che ha potuto riconoscersi e identificarsi nei propri idoli calcistici. Tutte le polemiche sollevatesi per i contrasti sorti tra Spalletti, Totti e la società presieduta dall’americano Pallotta stanno in parte oscurando la memoria di 23 anni passati a lottare e sudare per i colori giallorossi da parte di un giocatore che ha saputo rappresentare come nessuno le gioie, le speranze, i sogni e le frustrazioni della sponda romanista del Tevere.
Anche Daniele De Rossi ha avuto momenti idilliaci e profonde crisi nel rapporto con i suoi colori e con i propri supporters. Anche lui è stato amato e poi duramente criticato come solo a chi è in grado di creare legami identitari fuori da ogni immaginazione può capitare. Anche nella sua storia ci sono stati momenti in cui rappresentare una città, un mondo dentro a un mondo, può essere stato un peso, esattamente quanto esaltanti possono essere stati i momenti di idillio e le rare vittorie.
Oggi in un calcio dominato dalle logiche di mercato come mai era successo prima, in uno sport in cui sembra sempre più raro e difficile trovare bandiere, in un ambiente dove il dio denaro offre le più irrinunciabili lusinghe, sembra obbligatorio godere del privilegio di veder giocare Alessandro Florenzi. Nel giorno del ventitreesimo anno di devozione al nostro Capitano il mio pensiero va subito al tuttofare giallorosso, alle sue sgroppate, al suo altruismo, ai suoi gesti dentro e fuori dal campo.
E’ per giocatori come lui, che sembrano usciti da uno schermo in bianco e nero, che ancora si può sentire qualcosa che possa avvicinarsi alla magia e al romanticismo che solo le gesta sportive hanno saputo regalare a generazioni di appassionati. Florenzi ara la fascia, pressa, combatte e segna, spesso realizza gol impossibili, veri capolavori. Ma ciò che sorprende è come con la stessa naturalezza con cui incanta sul campo sappia farsi amare anche fuori, il bacio alla nonna in tribuna, l’abbraccio a Garcia in un momento a dir poco complicato, sono gesti che rendono un calciatore, un divo, una star, molto più umani.
La tifoseria giallorossa ha sempre fatto un vanto delle proprie bandiere, i giocatori simbolo hanno sempre saputo che rappresenta quei colori andava vissuto come un onore, perché il pubblico romanista della Capitale può renderti immortale. Forse il tempo presente si è già gettato avanti dove il romanticismo dello sport non ha valore senza contanti, ma, una cosa è certa, una bandiera come Florenzi c’è da tenerla stretta.
Giuliano Masciangioli