Il Poker giallorosso fa sorridere tutti ma non Totti

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Poker

La settimana del derby era cominciata in maniera atipica, con la solita e giusta ansia pre-match che faceva fatica a farsi percepire. L’epopea del caso Totti, Dzeko titolare o il falso nueve, De Rossi in America o ancora a Roma e le barriere nelle Curve, distoglievano l’attenzione dalla partita più sentita nella Capitale. Il surreale deserto dello Stadio Olimpico inoltre, non aiutava certo ad aumentare l’emozione. Gli spazi vuoti e i settori chiusi saranno ricordati negli anni, più del largo risultato.

Eppure man mano che le lancette si muovevano e scandivano i secondi, un certo rumore viscerale iniziava a far capolino negli stomaci dei tifosi presenti e non, allo Stadio.

Banti fischia il calcio d’inizio e la Roma di Spalletti dimostra sin da subito la propria superiorità tecnica ma anche tattica. Per i primi 45’ non c’è storia, i giallorossi dettano il gioco, creano occasioni eppure il tabellone indica il minimo vantaggio, 0-1. Il Faraone sigla la rete che sblocca la partita, tra le praterie concesse dalla pessima retroguardia biancoceleste. Per El Sharaawy è il sesto gol in 9 presenze con la maglia giallorossa. Un approccio niente male.

Finisce il primo tempo, ma è più il rammarico e la rabbia per le occasioni sprecate, che la gioia di aver mostrato una netta e indiscutibile superiorità contro i rivali di sempre. Lasciati lì a raccogliere le briciole concesse dagli errori dei giocatori romanisti.

I 18, ora 21 punti di distacco non sono lì per caso.

La seconda frazione di gioco comincia come era finita la prima, con la Roma a destreggiarsi tra le fila avversarie, ma senza sferrare il colpo vincente. Inoltre l’ormai esonerato Pioli, fa l’unica mossa giusta della sua partita, ovvero inserisce Keita Balde e Klose, al posto di due spenti e mai in partita, Matri e Candreva. Il primo lasciato troppo solo lì davanti, il secondo utile se capisse di avere altri 10 compagni al suo fianco.

Così Spalletti intuisce che è giunto il momento di far entrare l’attaccante d’area di rigore, dentro Dzeko e fuori, chi aveva siglato il gol del vantaggio.

Neanche un minuto e il bosniaco mette a segno la rete dello 0-2 al primo pallone toccato. Come dirà lo stesso calciatore a fine partita:”vorrei giocare sempre contro la Lazio”. Due match contro i cugini e due reti.

Sul doppio vantaggio bellissima l’immagine del portiere quasi dirigente, De Sanctis che traina, spinge, accompagna il Capitano Francesco Totti a festeggiare con il resto del gruppo.

Così la Roma e i suoi tifosi tirano un sospiro di sollievo, nonostante l’infortunio di Nainggolan per un fallo scellerato di Hoedt, e la paura che la Lazio potesse pareggiare sembra svanire. Appunto sembra. Perché proprio i due neo entrati confezionano il gol della speranza, o presunta tale, con la netta quanto assurda complicità del portiere giallorosso.

Se la Lazio dava la netta impressione che non avrebbe mai segnato, Szczesny gli spalanca la porta, uscendo e tentando di bloccare un pallone troppo distante da lui. Lui, che non si allontana quasi mai dalla linea di porta, lo fa ma nel momento e nel modo sbagliato.

Così, la squadra ospitante ringrazia per tanta abbondanza e si ritrova in partita pur non volendolo. Questa rete oltre a riaprire il match, fa diminuire le possibilità di vedere in campo, chi la storia del derby l’ha fatta, ovvero Francesco Totti. Prima Dzeko, poi Falque al posto del magnifico e onnipresente Nainggolan, e infine Zukanovic chiudono definitivamente le porte d’ingresso al numero 10.

L’ultimo cambio ovvero quello del difensore ex Sampdoria al posto dello stanco Salah, cambia ancora una volta il senso del match, indirizzandolo nuovamente e in maniera risoluta, verso la sponda giallorossa. Infatti, negli ultimi 15 minuti la Lazio aveva preso il sopravvento, colpendo due legni, come la Roma nel corso dei 90’, e mostrando per la prima volta cosa vuol dire derby. Ovvero che la squadra più scarsa può creare qualche preoccupazione mettendoci voglia e agonismo.

Con l’inserimento di Zukanovic, Florenzi passa a centrocampo e dimostra ancora una volta di giocare meglio lontano dalla propria porta e più vicino a quella avversaria. Infatti, con una conclusione di collo destro da fuori area segna il gol del 1-3, che riaccende gli animi e fa scoppiare di gioia dei pochi tifosi giallorossi presenti. Primo gol da Capitano nella stracittadina e 21esimo in Serie A.

Ma la festa non è finita e al 41’, dopo un’incursione centrale Perotti, con il piede meno buono, il sinistro, la piazza vicino al palo destro di Marchetti e fa 1-4.

L’argentino fa calare il sipario sulla partita e la Roma cala il poker. Dopo ben 12 anni sigla più di 4 reti ai cugini.

I giocatori esultano e si abbracciano, la festa, prima in campo e poi negli spogliatoi, ha inizio. Tutti hanno il sorriso stampato sulle labbra.

Spalletti rincorre Pioli e lo rincuora, lo saluta. Forse intuendo l’esonero vicino.

Così l’allenatore biancoceleste è costretto ad abbandonare la nave, portando con sé il record di non aver mai vinto un derby. Un pareggio e tre sconfitte. Il primo con la doppietta di Totti su assist di Holebas e Strootman, il secondo con il Capitano ancora sugli scudi a festeggiare insieme ai suoi compagni e ai suoi tifosi, il mancato sorpasso e la fine della corsa; il Game Over firmato Yanga-Mbiwa.

Il terzo lo ha vissuto dalla tribuna per via dell’infortunio rimediato il 26 settembre contro il Carpi.

Il quarto e, forse l’ultimo di una lunghissima e gloriosissima carriera, solo e seduto, a veder i compagni esultare, senza batter ciglio.

A (2)

Come in occasione del gol di Florenzi, il numero 24 viene sommerso da tutte le maglie giallorosse e dal calore del resto della rosa, e chi la fascia l’ indossa da sempre rimane dietro ma comunque contento per la terza rete.

 

 

 

Al triplice fischio dunque, l’abbraccio e gli schiaffi in testa, tanto cari a Spalletti, mostrano la felicità del momento. Ma l’occhio attento e vigile, di chi vorrebbe vederli tutti insieme, scruta il passo lungo e lo sguardo basso, seppur con il sorriso, di chi ha appena capito e intuito di non esser stato invitato alla festa.

 

Edoardo Albanese

 

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