Di Francesco: “Roma è stata una scelta di sentimento”

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Il tecnico giallorosso, ospite al Festival del Calcio di Firenze, ha risposto ad alcune domande dei giornalisti Paolo Condò e Giuseppe De Bellis. Questo uno stralcio delle sue parole:

Cosa è cambiato dal Sassuolo alla Roma? Ti saresti immaginato di tornare a Roma da allenatore?
“Assolutamente no, perché la mia scelta all’epoca era di staccare totalmente dal calcio. L’aver preso uno stabilimento a Pescara mi diede la possibilità di smettere. Poi ti rendi conto che ti manca il campo e quindi ci vuoi tornare. La casualità ha voluto che io tornassi a Roma e credo sia per me una cosa unica. Lo faccio con grande voglia, ci sono pressioni differenti rispetto al Sassuolo. Le tue pressioni interne però sono identiche, perché dei risultati devi portarli da una parte e dall’altra. Gli obiettivi sono diversi ma comunque importanti”.

L’obiettivo della Roma è lo scudetto. Per te sarebbe stato uguale se fosse arrivata una proposta da altri club?
“Avevo altre opportunità ma è stata una scelta di sentimento. Roma mi ha dato tanto, ci sono molto legato. Quando scelsi la Roma da calciatore è stata la stessa cosa perché io potevo andare in altre grandi squadre italiane, ma io ho scelto per la persona che più mi ha voluto, Franco Sensi. Mi lego tanto alle persone”.

Le differenze fra il Di Francesco giocatore e allenatore?
“Ruoli totalmente differenti perché il calciatore è più orientato a se stesso e alla sua prestazione. L’allenatore ha una società alle spalle, deve gestire uno staff completo, tantissimi giocatori dove l’aspetto psicologico è fondamentale. Io sono subentrato da allenatore in situazioni dove si giocava 4-4-2. Non essendo inconsciente ho cercato di inculcare le mie idee su un sistema di gioco differente dal mio. Potrà succedere ancora, l’importante è avere una filosofia di calcio. Un calciatore sul campo deve tirare fuori tutto quello che ha. L’allenatore dipende dai calciatori. Anche un calciatore ormai dipende dal mister e da quello che gli viene trasmesso”.

Secondo te l’allenatore della Roma deve essere coinvolto nel sentimento popolare o deve essere più  disincantato? 

“Magari ci sono stati altri allenatori che sono stati disincantati e non sono riusciti a vincere. Sicuramente io sono molto staccato da certe dinamiche. Se dovessi andare dietro a certe cose sbaglierei sicuramente. Non si vince non sbagliando ma sbagliando meno. Credo che la squadra che sbagli meno alla fine vince. Per arrivare a questo devi staccarti da tante dinamiche e concentrarti solo sul tuo lavoro. Lo spogliatoio viene prima di tutto”.

Cosa è successo nello spogliatoio quando Dzeko ha evidenziato le differenze tra il modo di giocare di quest’anno rispetto allo scorso?
“Ha sbagliato perché dietro c’è un lavoro e tanti di voi non possono sapere quello che facciamo in settimana. Anche altri possono far fatica a digerire determinate cose. La cosa importante è avere i risultati che legittimino il tuo lavoro, che è difficile non solo a Roma. Perché poi sembra che uno punti il dito sempre verso giornalisti, radio, etc. Cambiamo mentalità. Incontro gente che mi dice di non dare retta a nessuno poi però danno tutti retta a tutti. Predicano bene e razzolano male. Non c’è niente di male ad esprimere il proprio pensiero con educazione, rispetto a chi non lo fa. La cosa fondamentale è il tempo per trasmettere le idee di gioco. Come quando entri in azienda, servono anni per farla crescere. Sarri per esempio, ricordiamoci da dove è partito, dal sistema di gioco iniziale e le difficoltà del caso. Chi gli è stato vicino ha avuto l’intelligenza di aspettare e credere in questo allenatore. Noi siamo partiti facendo un ritiro e una tournée. Dopo 3 giorni in cui avevo tutti i giocatori abbiamo affrontato PSG, Juventus e Tottenham, senza mai perdere”.

Un allenatore non ha più il potere di scegliere cosa fare durante l’estate?
“Ora come ora ti direi di si, però se vieni preso a metà giugno quando tutto è programmato non è corretto. Tu entri e ti devi adattare, ma non deve essere un alibi. A scuola di solito si passa dal facile al difficile. Noi siamo partiti con tutte gare difficili e questo magari non trasmette consapevolezza e forza alla tua proposta di gioco. Poi siamo arrivati alla sfida con l’Inter, che forse meritavamo più di tutte le altre gare di vincere, e l’abbiamo persa. In quel caso il giudizio si basa sui 20 minuti finali, che fanno la differenza. Io però non mi posso basare su solo 20 minuti ma su una prestazione complessiva, quello che magari la gente non riesce a capire. La forza sta nel continuare a credere in quello che si propone. Dzeko, in una gara in cui tocca 2 palloni ma per demerito non solo degli altri ma anche suo, doveva mettersi a disposizione e la differenza è lì. Ma lui lo sa benissimo, a fine gara anche io posso dire le cose non giuste. Di solito a fine partita nello spogliatoio non entro, parlo due giorni dopo quando la lucidità ti porta a dare giudizi differenti”.

Rapporto tra i media e gli allenatori? Le differenze rispetto a quando giocavi?
“Dipende dal contesto. Ora ci si avvicina meno ai giornalisti. Si parla nelle conferenze. Credo però sia normale perché tante volte si cerca più il pettegolezzo che il vero messaggio delle parole. I social hanno cambiato molto. Riguardo alle pagelle è il particolare che fa la differenza perché vi assicuro che i calciatori leggono le pagelle. E gli danno molto peso. Questo può influire in una stagione perché c’è chi si butta giù. Anche la mia comunicazione è importante all’interno della squadra. Un titolo di giornale può mettermi molto in difficoltà. Questo non deve accadere ed è fondamentale essere chiari. I media sono importanti all’interno di uno spogliatoio, per me un pochino meno perché la vivo in maniera differente e riesco ad accettare qualsiasi giudizio. Poi se mi chiedi il mio parere io ti rispondo, ma non verrò mai a chiederti perché hai scritto una determinata cosa”.

Poter assistere agli allenamenti eleva i giornalisti e fa bene all’ambiente?
“Al Sassuolo erano aperti fino al giovedì, chiudevo il venerdì solamente per alzare la tensione dei giocatori. Alla Roma è differente perché abbiamo Roma TV che è una specie di Grande Fratello, in senso positivo però. I giornalisti a Pinzolo potevano assistere sempre, a volte quindi se dicono che non ho mai lavorato sulla fase difensiva anche se hanno visto gli allenamenti dove dedicavamo 40 minuti solo alla linea difensiva, ti fa capire che quando uno scrive deve anche informarsi. A Sassuolo, ambiente differente ovviamente, potevano assistere tutti, ma non vedevo sempre i giornalisti perché avevano anche loro le proprie cose da fare. A Roma ovviamente sarebbe differente”.

Credi in una fusione totale tra possesso palla e recupero?
“Chi attacca deve essere positivo, chi difende deve essere pessimista e aspettarsi sempre il peggio. Il non me l’aspettavo significa prendere un gol o non segnare, non essere un professionista. Le transizioni sono immediate nel calcio, roba di centesimi, lavorare su questi aspetti è determinante”.

Quanto tempo dedichi all’analisi dei dati?
“Nel dopo partita sono attento anche con chi vado a parlare. A me piace il giornalista che riesce a non prepararsi le domande, ma fa le domande in base alle risposte. I dati mi interessano meno. Oggi ci sono gli analisti e i tattici ma per me l’unico analista è il mister, il copia e incolla non esiste da nessuno. Si valuta insieme ad altre persone e si cerca di trasmettere. Il cambio di posizione di Nainggolan in Milan-Roma, quando l’ho messo addosso a Biglia, è stato motivato vedendo i dati dei palloni toccati. Lì è cambiata un po’ la gara. I centrocampisti si appiattivano e non si potevano fare ripartenze, in quelle situazioni bisognava andare da quella parte e basta. Lì è cambiata la partita. Si può parlare di bravura o di fortuna, ma a volte l’immediatezza nell’interpretare certe cose fa la differenza. Sono cose che fanno parte del nostro lavoro. I dati in certe fasi sono importanti. Se andate a vedere i terzini sono i giocatori che hanno giocato più palloni, una scelta dettata dall’impostazione tattica”.

Già studiato per il Napoli? La partita dello scorso anno?
“Assolutamente si. Ricordo quella partita, ai punti il Napoli ha meritato la vittoria ma nel finale la Roma poteva fare 3 gol. Con il Sassuolo pareggiai al San Paolo. Il Napoli costruisce tanto da una parte per andare a finalizzare dall’altra, è una grande qualità”.

Bilancio in perfetta parità contro Sarri per te. Ti piace affrontare le squadre di Sarri?
“C’è stata un’evoluzione di Sarri, lavorando 3 anni con una squadra, che ha trasmesso la sua idea di gioco. Quando perse con me giocava con un altro modulo, il 4-3-1-2 dove si cercava più verticalità, ora la forza del suo Napoli è la capacità di lavorare sugli esterni. Non fa mai appiattire i suoi giocatori su una linea di passaggio. Io però cerco di lavorare però prima sulla mia squadra, per non far realizzare il suo sistema di gioco”.

Uno spareggio per la lotta scudetto?
“Magari no, ma è una partita fondamentale. Ogni partita, piccola o grande che sia, la facciamo diventare importante, questa avrà un gusto particolare”.

Roma e Napoli obiettivo da raggiungere per le altre squadre italiane?
“La squadra da battere resta la Juventus. Roma e Napoli sono quelle che si sono avvicinate di più, hanno anche la potenzialità giusta. La Roma ha cambiato di più, in primis l’allenatore, ma non vuol dire che siamo meno competitivi, siamo qui per crescere. “.

Schick?
“Si vede che ha l’istinto del campione. Non sto a dire in che ruolo giocherà, magari cambierò qualcosa a livello tattico ma è un attaccante, non solo una prima punta ma comunque un attaccante centrale. Dipende sempre dal sistema di gioco. Se andate a vedere le cose migliori alla Sampdoria le ha fatte partendo dal centrodestra, caratteristica importante per me è il piede invertito. E’ giovane e magari ora manca in continuità. Non diamo però giudizi affrettati. Ho allenato tanti giovani e vi dico che vanno accompagnati e aiutati”.

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