FATTO IL VAR, TROVATO L’INGANNO (di Massimo D’Adamo)

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Il VAR deve collaborare con l’arbitro in campo, esaminando le situazioni dubbie delle partite tramite l’ausilio dei filmati.
Deve farlo soprattutto nelle situazioni in area di rigore, quelle più importanti, per aiutare gli arbitri in campo a prendere le giuste decisioni.
Di fatto, però, accade che il VAR non interviene sempre, ma A SUA DISCREZIONE, vale a dire quando e a favore (o sfavore) di chi vuole.
E così il sig. Orsato (VAR in Fiorentina-Roma) decide di non intervenire quando il sig. Banti, l’arbitro in campo, assegna un calcio di rigore apparso ai più dubbio, scatenando la reazione dei giocatori in campo. Sarebbe bastato riguardare le immagini per aiutare l’arbitro a prendere la giusta decisione. Orsato non lo fa e sbaglia. Perché non riguarda le immagini? Perché non lo spiega? Lo stesso Orsato, un anno fa, tenne lo stesso comportamento in Roma-Inter: non controllò le immagini di un atterramento in area nerazzurra di Perotti, non sanzionato dall’arbitro in campo. Un rigore macroscopico, una decisione ingiusta, non corretta dal VAR.
E allora che senso ha questa innovazione tecnologica, se viene utilizzata in maniera parziale?
In questo modo, non solo non ristabilisce la giustizia in campo, ma accresce il senso di ingiustizia di chi subisce una decisione errata, non presa in considerazione e analizzata.
Vale la pena ricordare che sempre Orsato, in Sampdoria-Roma della scorsa stagione, questa volta arbitro in campo, non tenne conto della segnalazione dell’assistente di linea che sbandierò vistosamente per segnalare un fallo subito dal romanista Strootman all’inizio dell’azione che portò ad un gol blucerchiato.
La storia, di fatto, non cambia: pur avendo il supporto della tecnologia, in Italia, gli arbitri continuano a sbagliare, condizionando partite e campionati, sempre a favore delle squadre più potenti.
E quando lo fanno, mica vengono fermati: fanno carriera!

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