In un’intervista esclusiva al The Guardian il centravanti giallorosso ha rilasciato alcune dichiarazioni. Queste le sue parole:
“Io non corro? Non do il mio meglio in campo? Andiamo! È uno scherzo?. Posso assicurare che non c’è nessuno sugli spalti o davanti alla TV che voglia la vittoria quanto me. Ogni partita, non importa contro chi giochiamo o per cosa giochiamo. Voglio soltanto segnare un gol o aiutare la squadra a segnare per vincere l’incontro. Do sempre il massimo.
Le critiche? Quando giochi male è normale riceverle, ma fa parte del lavoro e va bene così. Il problema sono gli insulti. Quella è la cosa che fa più male. Questa è l’era dei social e chiunque ha la possibilità di pubblicare ciò che pensa. Chiunque si sente autorizzato a dire la propria, a insultarti solo perché non hai segnato o hai giocato male. La gente pensa che ha più a cuore la squadra di te. Non è così. Non è mai facile leggere cose del genere, sentire urlarti contro i tifosi. Tu sai che puoi giocare molto meglio, ma qualche volta è difficile con tutte queste cose che ti circondano. Quello che la gente non vede è che tu sei un essere umano come loro, che ha gli stessi problemi. Ti direi una bugia se ti dicessi che non ascolto o leggo quello che la gente dice. Ignoro gli insulti e le cose senza senso, ma mi piace leggere chi scrive su di in maniera educata e analizza le cose, specialmente in Italia. Qui conoscono il calcio, lo vivono profondamente, come se fossero coinvolti nel gioco. Mi piacciono molti articoli o programmi tv. Cosa leggo in Inghilterra? Non lo faccio. Non so perché, forse perché so bene l’inglese e devo migliorare l’italiano. Così leggo molto gli articoli italiani con cui a volte sono d’accordo, altre meno”.
“L’infanzia? Non ho avuto un’infanzia normale, come molti ragazzi della mia età. Nella Bosnia degli anni ’90 era un periodo di sopravvivenza. Ero un bambino quando scoppiò la guerra e la guerra ti fa crescere più in fretta, ti impone di imparare cose che non avresti mai voluto imparare e vivi la vita in maniera differente. Ho sempre amato il calcio. Non potevo stare senza, anche durante la guerra, ma non ho mai pensato di diventare famoso anche se lo sognavo. Ma volevo giocare a calcio perché lo amo, amo guardarlo, leggere su di esso, parlarne, ma soprattutto giocarlo. È stato il mio primo amore ma non mi sento una star, mi sento fortunato”.
“Dopo la bella stagione scorsa molte cose sono cambiate. Nulla è paragonabile a Roma. La gente è pazza per il calcio, in modo positivo. Le aspettative in Germania sono alte, più che in Inghilterra, ma non si avvicinano a quelle della piazza di Roma. È una città speciale con un legame speciale tra il club e i tifosi. A Manchester potevo andare fuori per cena o per una passeggiata, la gente mi fermava e gentilmente parlava con me, mi chiedeva una foto. A roma è impossibile. Sono passionali i tifosi, amano il club e i suoi giocatori. Questa passione innalza le aspettative e la pressione. Non sto dicendo sia una cosa negativa. Amo questa cosa, perché passione e amore sono ciò che fanno il calcio.
Guardo calcio tutto il tempo. Tutti i campionati, tutte le partite che posso. Non importa il livello. Sul bus del club guardo le partite sul tablet o sul telefono e faccio la stessa cosa a casa nei weekend. Soprattutto quelle di Serie A, perché penso mi aiuti nelle partite successive. Studio i difensori avversari, i loro movimenti, le loro debolezze
Il Chelsea? Sono una grande squadra. Soon rimasto impressionato da loro nella scorsa stagione. Conte gli ha dato una nuova dimensione, che chiamerei una dimensione italiana. La Roma? Non siamo qui per vincere la Champions League. Abbiamo obiettivi differenti. Il primo dei quali è qualificarci agli ottavi di finale”.