L’attuale team manager giallorosso, ex anche dell’Udinese, ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano Il Centro:
Come ci si sente a non poter entrare in campo?
“Io sono stato un privilegiato, ho avuto la capacità e la fortuna di giocare fino a 40 ad alti livelli. Ho chiuso la carriera con il Monaco campione di Francia e semifinalista di Champions League. Avevo un altro anno di contratto a Montecarlo, ma l’offerta della Roma e il fatto di non poter pretendere di giocare per sempre mi ha portato a fare questa scelta. Bisogna rendersi conto di quanto tu puoi dare e di quanto puoi ricevere dal calcio. Il calcio giocato non mi manca, perché ho deciso io di lasciare e perché faccio un altro lavoro che mi occupa molto tempo. Però, mentalmente, il passaggio dal campo alla scrivania è duro. Ma non ho avuto il tempo di pensarci”.
Che cosa fa un team manager?
“È la figura cuscinetto tra la società e la squadra. Tutto quello di cui i giocatori e il tecnico hanno bisogno dalla società passa questa figura”.
C’è un posto dove ha lasciato il cuore?
“Non uno in particolare, tutti i posti mi hanno dato qualcosa. Ovviamente, le esperienze più significative sono quelle di Udine, Napoli e Roma”.
Ha rimpianti?
“In posti come Napoli e Roma quello di non aver vinto lo scudetto. In questi posti avrebbe garantito l’eternità sportiva”.
Chi è il suo erede?
“Sto rivedendo un modo di parare più essenziale. Prima era spettacolare, ora si sta tornando alla concretezza. A me piace il portiere efficace. Quello che più si avvicina alle mie caratteristiche è Alisson, che ha avuto una maturazione più veloce della mia. Io sono diventato più bravo dopo i 30 anni e il brasiliano è più tecnico con i piedi”.
Gli allenatori, il meglio e peggio?
“Oggi dico grazie a tutti e in particolare al primo, Rumignani, che mi ha fatto esordire; a Marcello Lippi che mi ha portato in Nazionale; e a Mazzarri e a Spalletti, tra i più preparati in assoluto. E poi il compianto Gino Di Censo, che mi ha cresciuto”.
Monchi?
“È un andaluso, ha dei valori umani importanti, un grande professionista. Ha apprezzato i miei comportamenti. Ci siamo conosciuti a Siviglia e dopo il primo anno mi ha ceduto in prestito al Galatasaray e la stagione successiva mi ha venduto al Napoli. Quando è arrivato a Roma si è ricordato di me ed è nata la collaborazione. Inizialmente pensavo mi volesse come vice Alisson, solo alla fine del discorso ho capito che mi voleva dirigente. Fu molto divertente, mi chiese di smettere in maniera molto brillante”.
È vero che con Di Francesco parla in dialetto abruzzese?
“Certo, con Eusebio e con gli altri componenti dello staff tecnico. Serve per accelerare la comunicazione. Conosco Eusebio da più di venti anni anche se non abbiamo mai lavorato insieme. Lui è testimone di grandi valori. Ho sempre apprezzato una cosa, quella carezza che mi faceva sul viso quando ci incontravamo. Una bella persona. Ora sto conoscendo anche un grande allenatore”.