Dino Da Costa, ex attaccante della Roma, è stato intervistato per il match program dell’As Roma in vista del derby con la Lazio di domenica prossima. Queste le sue parole:
Partiamo da quelle 12 reti segnate ai biancocelesti…
“In realtà le reti sono 13! Quello del 6 marzo 1960, è un mio gol, anche se è stato assegnato come autogol a Francesco Janich. Ero entrato nel secondo tempo, ho preso palla in difesa e sono andato avanti in velocità. Lui ha preso paura del mio arrivo si è girato malamente e il pallone lo ha sfiorato. Ma il tiro è mio, e se non fosse stato un tiro preciso e forte non sarebbe mai entrato in rete”.
Ricorda quale fu il primo gol alla Lazio?
“La prima volta che ho incontrato la Lazio e che ho anche segnato è stato in occasione di una amichevole. Era una partita che si giocava ogni anno prima dell’inizio del campionato. Da quella volta in poi ho sempre fatto gol contro di loro. Se loro facevano due gol nel primo tempo io glieli rifacevo! Sono stato il loro incubo, in particolare l’incubo del portiere Lovati. Incontrai Lovati in una amichevole con le vecchie glorie a Frascati e gli segnai anche lì. In quella occasione mi disse che non avrebbe mai più voluto giocarmi contro. Quando vedevo la maglia biancoazzurra mi esaltavo. Poi purtroppo sono retrocessi in B”.
In giallorosso ha anche vinto la classifica cannonieri.
“Sì, al mio secondo anno ho fatto 22 gol. E ci tengo a sottolineare con nessuna rete su rigore! Non mi è mai piaciuto segnare dal dischetto, lo trovavo molto difficile perché è facilissimo sbagliare, il portiere poi ai miei tempi era immobile e facilmente poteva intuire dove andasse il tiro. Così la responsabilità di andare dal dischetto l’aveva Arcadio Venturi, era il capitano e quindi era il suo compito. E poi era bravissimo”.
Come arrivò Da Costa in giallorosso?
“Giocavo nel Botafogo e durante una tournée venni notato dai dirigenti della Roma. Mi avvisarono che sarei dovuto partire per la Capitale e io non esitai un attimo, ero molto curioso di fare nuove esperienze. La Roma non poteva acquistare stranieri, ma grazie alle mie lontane origini italiane fui tesserato come oriundo. L’allenatore era Sarosi, il primo anno non fu facilissimo ma un po’ alla volta mi ambientai benissimo”.
Quali i suoi ricordi degli anni a Roma?
“Sono stati anni bellissimi. Roma è una città pazzesca che abbraccia a 360° i suoi giocatori. Tutti si prendono cura di te. Dovunque tu fossi trovavi qualcuno che ti accompagnava agli allenamenti, andavi a cena e magari non ti facevano pagare il conto o magari il panettiere era onorato di poterti regalare il pane. Solo a Roma il calcio è vissuto così. Io poi sono andato a Bergamo e anche alla tanto importante Juventus ma lì è diverso, nessuno sembra interessarsi a te. Giochi la domenica e poi durante la settimana sei una persona normale, non ti riconoscono neppure e a Torino ci sono stato per ben 3 anni. A Roma invece ti senti padrone del mondo! Per questo motivo sono diventato romanista, i romani sono unici”.
Con chi ha legato di più in quegli anni?
“Panetti è stato il mio compagno di stanza per cinque anni. Era un ragazzo d’oro, tranquillo che non dava nessun disturbo. Alla sera prima di addormentarsi faceva le parole crociate”.
Che derby si immagina domenica?
“Il derby è sempre il derby. Ha lo stesso sapore dei miei tempi. La Roma ha una buona squadra con tanti giocatori forti e l’arrivo di Spalletti è stato determinante. Il mister sta cercando di colmare alcune lacune che c’erano in difesa; a volte ci si distraeva con troppa facilità. Spalletti invece esige la massima concentrazione”.
Un pronostico?
“Spero vinca la Roma, sono romanista”