Katia Serra, ex calciatrice, oggi opinionista sportiva, è intervenuta a Centro Suono Sport, nella trasmissione Bar Forza Lupi, per presentare il suo libro “Una vita in fuorigioco” e parlare di calcio.
Com’è cambiato il calcio femminile dagli anni Ottanta, quando hai iniziato a giocare, ad oggi?
“Fino a pochi anni fa, non c’erano società in grado di sostenere né in termini economici, né medici, il calcio femminile: le calciatrici non percepivano rimborsi per la loro attività e, se si infortunavano, dovevano provvedere a proprie spese alle cure mediche. In tanti anni di attività, nelle varie società, ne ho viste di tutti i colori. Un anno, ad Oristano, in Serie A, abbiamo svolto la preparazione estiva in un campeggio; per le trasferte, viaggiavano in traghetto di notte, perché non c’erano abbastanza fondi. Capitava che lo società non pagassero gli affitti dei campi ed eravamo costrette ad allenarci per strada. A fine anno, se volevi tenere la tua maglia da gioco, dovevi comprarla. Mi fermo qui, perché l’elenco sarebbe troppo lungo. Oggi, dopo lunghe lotte sindacali, grazie anche al sostegno di un grande personaggio come Damiano Tommasi, siamo arrivati al professionismo, con una serie di conseguenze positive in tema di diritti e tutele delle calciatrici”.
Hai giocato una stagione nella Roma Calcio Femminile. Oggi l’AS Roma è prima nel campionato italiano e si appresta a giocare i quarti di finale della Champions contro il Barcellona.
“Il progetto della Roma femminile è partito bene fin dall’inizio, quando si è deciso di affidarsi alla competenza e all’esperienza di Betty Bavagnoli, prima come allenatrice, poi come dirigente. Sta operando bene sul mercato. La rosa è ampia e di qualità. Il mister Spugna è una garanzia di bel gioco. Non a caso, la Roma è prima in Italia. I quarti di finale di Champions saranno una grande giornata di calcio, perché il Barcellona è la più forte squadra d’Europa. Un appuntamento da non perdere, io ci sarò”.
Hai raccontato per la Rai la finale di Euro 2020, prima donna in assoluto a farlo. In quella Nazionale, campione d’Europa, giocavano tre romanisti: Spinazzola, Cristante e Belotti. Spinazzola si infortunò proprio ai quarti di quell’Europeo e solo da poche settimane sembra tornato a quei livelli.
“So cosa vuol dire rompersi il tendine d’Achille. Era inevitabile che ci mettesse così tanto tempo per riprendersi. È un infortunio che non ti consente di stare sempre al top e, ogni tanto, può richiedere del riposo. Leo ha delle caratteristiche uniche: quando parte sulla fascia è devastante. Ne ha bisogno la Roma e anche la Nazionale”.
Cristante è un calciatore stimato da tutti i tecnici, che lo mettono al centro delle loro squadre, ma forse sottovalutato dai tifosi e a livello mediatico.
“È il classico giocatore che si vede poco, ma è fondamentale per la squadra. Può sembrare lento nei movimenti, ma è veloce nel pensiero tattico. Balza meno all’occhio del tifoso, ma non è un caso che anche in Nazionale venga sempre impiegato”.
Belotti è arrivato un po’ in sordina nella Capitale, ma nelle ultime due partite ha infiammato i tifosi della Roma, che, all’Olimpico, contro il Salisburgo, gli hanno dedicato una lunga standing ovation.
“Il Gallo, per generosità, è da top five. In campo, dà tutta l’anima. Si impegna molto nella fase di non possesso, andando sempre a pressare e contrastare. Per fare questo, deve stare bene fisicamente. Ora, ha ritrovato la condizione migliore e può dare una grossa mano alla squadra”.