Il Prof. Ernesto Alicicco, storico medico sociale della Roma, è intervenuto sulle frequenze di Centro Suono Sport, nel corso della trasmissione “Bar Forza Lupi”.
Queste le sue dichiarazioni.
Lei ha fatto sia il calciatore che gli studi di medicina: come ha fatto a contemperare le due cose?
“Mi piaceva giocare, ma anche studiare. Diciamo che, tolte le otto ore di sonno, il resto delle giornate lo dedicavo interamente a questi due interessi”.
Ha iniziato con la Lazio.
“Sì, ho iniziato nel settore giovanile biancoceleste. Poi sono andato via perché in quel periodo curavo anche molti giocatori della Roma. Inoltre il dottor Ziaco pensava che lo volessi scalzare. Allora telefonai al povero Di Bartolomei e andai alla Roma. Ci sono rimasto ventiquattro anni”.
Ha vissuto un periodo magico con la Roma.
“Il primo anno fu combattuto: ci salvammo all’ultima giornata ad Ascoli. Poi, però, venne Liedholm e creò una Roma imbattibile”.
In quel periodo, ha stabilito un rapporto speciale con i giocatori: dai filmati e dalle fotografie traspare un atteggiamento quasi familiare nei loro confronti.
“È stato esattamente così. Per qualcuno ho fatto da fratello maggiore, per altri da padre. Il giocatore va gestito sotto tutti i punti di vista, anche quello psicologico. Il medico deve stare in campo dalla mattina alla sera. Di Bartolomei, Vierchowod, Falcao, Cappioli… avevano tutti bisogno di una parola al momento giusto. Bisogna sempre capire bene le condizioni psichiche e fisiche dell’atleta. A volte basta prendere sotto braccio un giocatore. Spesso qualcuno veniva e mi diceva che aveva fatto tardi la sera, allora io parlavo con l’allenatore e gli consigliavo di non mandarlo in campo. Bisogna sempre prevenire l’incidente perché il giocatore deve scendere in campo nella migliore condizione fisica possibile”.
Prima quasi si forzava il giocatore a scendere il campo…
“L’aspetto psicologico è molto importante. Io ero facilitato dalla mia esperienza di ex calciatore. Però i dottori non sono tuttologi. Devono essere circondati da uno staff che può supportarli nei momenti difficili. Noi per esempio avevamo uno psicologo nel nostro staff. Senza far nomi, mi ricordo che una volta Mazzone mi disse di parlare con un giocatore che stava fuori forma e si scoprì che stava giù per via del rapporto con una donna, un’attrice. Io allora ci parlai, gli dissi che aveva fatto 13 al totocalcio, perché aveva bisogno di avere accanto un altro tipo di donna. La cosa funzionò: segnò anche nel derby…”
Come valuta la volontà, da parte dei vertici del calcio, di riprendere il campionato a fine maggio e di concluderlo in sei settimane?
“Bisogna prima pensare all’uomo, poi al giocatore. Se si devono fare tre partite alla settimana, occorrerà adattare gli allenamenti a tale scopo. Bisogna considerare la condizione psicofisica e il fatto che la partita sia comunque allenante. Con Zeman, ad esempio, facevamo i gradoni. Io arrivavo un’ora prima dell’allenamento e domandavo ai giocatori come stessero prima di fare esercizi del genere. Il medico del calcio deve conoscere i problemi specifici dello sport in questione”.
Per la ripresa dell’attività sportiva si sta studiando un protocollo che prevede allenamenti a piccoli gruppi e altre accortezze. Che ne pensa?
“Penso che debba essere fatto tutto con la mascherina. Anche ipotizzando di allenarsi in piccoli gruppi da quattro o cinque persone, come si farà a garantire le distanze di sicurezza? Bisognerà fare un protocollo molto accurato perché questo virus è subdolo e la fatica potrebbe abbassare le difese immunitarie”.
Ritiene fattibile la possibilità che si possa tornare agli allenamenti il prossimo 4 Maggio e che si riprenda il calcio giocato entro la fine del mese?
“Se c’è la certezza che con le dovute precauzioni si possano fare allenamenti e partite senza correre rischi, ben venga la ripresa. Ma, se poi qualcuno si contagia, cosa succede?
Un rischio da considerare è quello degli infortuni, dato che i giocatori non si allenano da parecchio tempo”.