Fazio: “L’importante è sempre guardare al futuro, per la Nazionale… chissà, pure per quella italiana”

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Federico Fazio, arrivato a Roma un po’ in punta di piedi, si sta mettendo in mostra per le sue ottime prestazioni. Il difensore argentino sta sorprendendo tutti per l’alto rendimento. Nessuna polemica, nessun look particolare e nessuno scandalo: il giocatore giallorosso ha dimostrato sul campo il suo valore, più alto di qualunque aspettativa ed è stato intervistato dall’Ultimo Uomo. Queste le sue parole:
Sulla sua crescita e quella del resto della squadra: “Non sono stato solo io a crescere dalla gara d’andata contro la Fiorentina a oggi, ma tutta la squadra, e in molti aspetti: se i giocatori crescono individualmente anche la squadra diventa più unita, acquisiamo più sicurezza e fiducia l’uno nell’altro”.

Quando gli viene ricordata la frase di Emerson Palmieri, che disse di essere più tranquillo quando vede Fazio in difesa, all’argentino viene chiesto se quella tranquillità derivi dalla presenza di due difensori come Manolas e Rüdiger: “Non è solo per Manolas o Rüdiger, ma è soprattutto merito del centrocampo, specie se giocano De Rossi e Strootman. La verità è che siamo tutti in grande forma, e questo permette a ognuno di migliorarsi”.

Se si trova meglio con una difesa a tre o a quattro risponde così: “Mi trovo molto bene con la difesa a tre o anche con quella a quattro che diventa a tre in fase di possesso: il mister sa sempre qual è il modulo migliore, o più giusto, con cui schierarci anche in base agli avversari. Non ho una posizione preferita: al centro mi trovo bene, ma per esempio contro il Milan o la Lazio ho giocato centrale di sinistra, e anche con l’Inter o il Napoli laterale. Io giocherei ovunque”.

Parlando dei tempi del Sevilla Atlètico ha dichiarato: “Hanno visto che avevo una buona conduzione di palla nell’uscita, che rischiavo molto nella proposizione di gioco e mi hanno messo a centrocampo. Non ci capivo niente, correvo molto più di quanto facessi da difensore, ma mi ha cambiato la visione di gioco, l’approccio anticipato alla manovra”.

La sua prima da titolare è stata nella Supercopa de España, al Bernabeu, contro il Real di Raul e Van Nisterlrooy: “Ho guardato lo stadio e ho avuto l’impressione che mi cadesse addosso”

Parlando di come sia stato il processo di adattamento alla Serie A, e a Roma: “La Serie A è molto simile alla Liga, si gioca un calcio molto tattico, che mi piace abbastanza; ma forse è stato più facile per me, perché sono stato avvantaggiato dal tipo di vita che si vive a Roma, dalla cultura; l’Italia per noi argentini è come casa, sono Paesi con caratteristiche molto simili, condividiamo le stesse radici. Roma poi somiglia molto a Siviglia, mia moglie dice che le trova uguali anche se con le dovute proporzioni, ma anche a Buenos Aires: sono città molto futboleras, in cui si vive con grande attaccamento al gioco, anche se poi non saprei dirti bene com’è giocare a Buenos Aires, ho sempre giocato in Segunda e non è proprio lo stesso che giocare in un club grande”.

A Roma ha trovato, oltre a Diego Perotti, Luciano Spalletti, che lo aveva cercato ai tempi dello Zenit nel 2015: “In effetti c’è più di una casualità…A Roma ero già venuto anche sette anni fa con Diego… Poi lui ci è venuto a giocare, e quando sono venuto a trovarlo, quel fine settimana proprio qua a Roma ho chiesto a mia moglie di sposarmi”.

Con Perotti, Fazio condivide anche un destino decisamente avverso in quanto a rapporti con la camiseta albiceleste. Sia Fazio che Perotti, entrambi convocati da Batista per una serie di amichevoli di preparazione alla Copa América 2011, hanno totalizzato, insieme, appena 300 minuti in campo (225’ Fazio, addirittura solo 75’ Perotti). Eppure una figura come quella di Fazio avrebbe fatto molto comodo alle recenti difese della Selección: “Sì… no… qué sé yo, sono cose che succedono. Ci sono allenatori che hanno i propri giocatori preferiti, che li conoscono per averli già seguiti nelle loro squadre, ci sono molti casi che possono influire”.

A ridosso del Mondiale del 2014 ha avuto una specie di beef con Sabella. Disse: “Comincio a dubitare che mi chiami: sono regolarmente tra i titolari a Siviglia, riconosciuto in Spagna, mi sento in forma, mi piacerebbe avere almeno una chance, ma da quando c’è Sabella questa chance non è mai arrivata”. Quando divenne chiaro che non avrebbe fatto parte della spedizione disse di averla presa come “una mancanza di rispetto”.

Ma non è strano essere stato così completamente dimenticato? (Anche se Bauza lo sta tenendo sotto controllo, ed era all’Olimpico per la gara contro la Fiorentina): “Magari adesso non tanto, dopo dieci anni di carriera finisci per essere più conosciuto, ma prima forse venivo dalla Segunda, non sono passato per un club importante in Argentina, magari la gente non aveva avuto modo di conoscermi davvero…”.

Ma ci crede ancora?: “Mi dispiace non aver avuto l’opportunità di dimostrare il mio valore. Ci sono molte partite, eliminatorie, amichevoli, mondiali: forse però uno vuole avere il suo gruppo ben formato. Anche se se stai facendo le cose per bene un premio, insomma fa sempre piacere ricevere un riconoscimento al lavoro che stai facendo…”.

Poi aggiunge: “L’importante è sempre guardare al futuro, per la Nazionale… chissà, pure per quella italiana”.

Quando gli si fa notare la differenza dal suo idolo, Walter Samuel afferma: “In quegli anni, al Mondiale del 2002, quando lo seguivo anche qua a Roma e prima nel Boca, di cui ero tifoso, pensa che in quel periodo neppure giocavo come difensore. Però aveva un modo di essere leader, Samuel… Non era tanto il suo ruolo in campo che mi attraeva, ma il ruolo nella squadra, da leader”.

Poi aggiunge: “Mi piaceva per la stessa ragione pure Batistuta, per dire”.

Su quanto il calcio lo occupi anche al di fuori della sua vita professionale, risponde così il difensore giallorosso: “Mi piace vedere molte partite, di quelle vecchie, le squadre enormi, giocatori e nazionali e stili di gioco di altre epoche, mi piace molto. L’Olanda del ’74, il Milan di Sacchi: mi guardo i video su YouTube e cerco di capire come si sia sviluppato, evoluto il gioco. Guardo anche le giocate dei singoli, Zidane, Ronaldinho, ma mi affascina di più vedere com’è cambiato il calcio. La mia preferita è Italia-Brasile, la finale del ’94: rende bene l’idea di come il calcio non sia qualcosa di statico, ma un concetto in costante evoluzione”.

E che ne pensa, di questa evoluzione?: “Oggi il calcio è sempre più fisico: ci si allena in maniera diversa, ma soprattutto si preparano giocatori pronti a correre per 90 minuti senza stancarsi. È un gioco sbilanciato sulla parte atletica”.

Parlando di Riquelme, che eccelleva nel calcio dei suoi tempi, ha risposto così: “ma lui avrebbe saputo dire la sua anche in questo, di calcio. Ho giocato con lui più volte, mi guardo spesso le sue partite, come quando ero piccolo, lo guardavo lo guardavo e non mi stancavo mai. La partita contro il Real Madrid! Il suo manifesto. C’erano giocate, nella sua testa, che nessun altro sapeva vedere. Anche in questo calcio si sarebbe potuto adattare: perché aveva una visione totale del gioco, e la capacità, in un secondo, di cambiare una partita”.

Su cosa l’abbia spinto a mettersi alla prova in Premier League: “Mi è sempre sembrato un campionato vistoso”, risponde. “La guardavo in tv: l’ambiente mi attraeva molto, l’atmosfera. E poi il fatto che ci fosse un ct argentino (Pochettino era appunto appena stato nominato ct degli Spurs) è stato un incentivo per scegliere il Tottenham quando ho deciso di cambiare club. Il primo anno ho giocato 33 partite, mi sentivo bene. Non al livello top, però insomma. Poi, dopo dieci anni di carriera, per la prima volta già prima dell’inizio della nuova stagione (quella 2015-16, NdA) sapevo che non avrei giocato mai, perché mi hanno comunicato che non rientravo nei loro piani”.

Rispondendo su cosa sia successo: “Non lo so. Non ti dicono mai la verità, o qual è il problema, o perché vogliono cambiare. Non si sa mai”.

Alla domanda se poteva essere dipeso da Pochettino o dalla società: “In ogni caso quando me l’hanno comunicato c’era ormai troppo poco tempo per cercare un’altra squadra, ad agosto ormai sono tutti quasi già organizzati, è più difficile. Sapevo solo che mi sarei dovuto fermare sei mesi, senza giocare. Pensavo spesso alla prima stagione”.

Perché paradossalmente l’anno più duro è stato il secondo?: “Ambientarsi alla Premier League è più difficile: si gioca un calcio molto diverso da tutti gli altri. Ci sono più 1 contro 1, più ribaltamenti di fronte, molti più spazi, meno tattica, molta poca tattica. Anzi, diciamo che non ci si lavora proprio sulla tattica. È tutta questione di fisicità. La squadra deve prima di tutto star bene fisicamente, la differenza poi la fa quello che un giocatore sa fare di per sé, il suo livello tecnico. La verità è che tutte le partite si giocano allo stesso modo, non si studia il rivale: ogni squadra ha il suo stile e rispetta solo quello, senza troppa attenzione al resto, senza cambiare mai”.

E qui, Fazio, arriva al punto: “È divertente vedere le partite, ma solo per il tifoso, per gli spettatori che sono sugli spalti, per le occasioni da gol… Ma è sempre la stessa cosa. Non c’è tattica, non c’è pianificazione. Praticamente il centrocampo non esiste: stai attaccando, termina l’azione e già stanno attaccando te. È un po’ noiosa, per un calciatore. Non hai margine di crescita, non impari a studiare, fai sempre le stesse cose. Non cambi posizione, non apprendi nulla tatticamente”.

Su cosa serva per essere un leader: “Bisogna avere ambizione, e poi consapevolezza. Fare tesoro delle cose che ti capitano. Aiuta certo anche aver giocato, in carriera, con altri leader: capire qual è il loro ruolo, apprendere quanto più puoi. Poi in realtà è qualcosa che devi avere dentro: non ci si sveglia la mattina dicendo voglio essere un leader, e quando sei giovane devi osservare e capire chi è che comanda, apprendere da lui, seguirne i consigli”.
Quando gli vengono chieste le prime tre cose a cui pensa quando si alza, risponde con una soltanto: “Energia. Come averla e in che modo canalizzarla. E poi come fare per poterla avere tutto il giorno, per sfruttare le occasioni che ti capitano e superare quel che c’è da fare”.

Quando gli viene chiesto quale sia il suo punto di riferimento fuori dal calcio, dà una risposta sorprendente: “Mio fratello più piccolo, che ha dodici anni”.

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