La resurrezione del ‘Faraone’

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Tanti giovani giocatori di calcio ai propri esordi hanno dovuto portare il peso di essere considerati dei predestinati, per molti quest’etichetta è stata un fardello insopportabile, un’aspettativa da dover trasformare in realtà. Tanti sotto questa pressione sono rimasti schiacciati senza riuscire a rispettare le grandi attese che li circondavano. Nell’epoca dello star system e del successo mediatico ci vuole un attimo per passare dalle luci della ribalta all’oscurità di un dimenticatoio e non tutti hanno la forza mentale, la professionalità e la maturità per passare all’improvviso dal paradiso alla polvere, soprattutto quando si è ragazzi pieni di sogni e quando la vita appare come una strada da percorrere per poterli realizzare.

Quella di Stephan El Shaarawy sembrava l’ennesima storia di un’illusione personale e collettiva, in un paese all’ossessiva ricerca del talento del futuro che ci faccia dimenticare i fasti di un passato che ha assunto i contorni dell’età dell’oro. Quando nell’ormai lontano 2012/2013 il giovane ‘Faraone’ ebbe l’opportunità di farsi notare sul palcoscenico della serie A sembrava di assistere all’ascesa di una stella, un predestinato, un giovane talento già pronto, maturo. Segnò 16 gol quell’anno, quasi tutti nel girone d’andata, e tutti erano pronti ad accogliere il salvatore di un calcio nostrano in crisi di risultati e di progettualità. La gioventù rende sfrontati e Stephan sembrava disposto a raccogliere l’eredità che il popolo calcistico, non solo rossonero, non vedeva l’ora di consegnargli.

Poi la vita, si sa, ama metterci alla prova. Arrivò prima il dualismo con Balotelli, poi il progressivo calo di rendimento e di lucidità sotto porta, infine arrivarono le voci sulla sua vita dissennata proprie di una piazza delusa dai fallimenti dell’ennesimo ‘uomo della pioggia’. Sembrava che il ‘Faraone’ avesse già abbassato la cresta, fu subito considerato una meteora, un abbaglio. Gli stessi idolatri che lo incensarono si trasformarono in un lampo in critici spietati pronti a rinnegare colui che anche per un attimo gli era apparso il nuovo messia.

Dopo due anni di purgatorio milanista, all’inizio di questa stagione, arrivò inesorabile l’esilio francese. Un esilio dorato nel principato di Monaco alla ricerca di un riscatto, agli occhi del pubblico ma soprattutto per se stesso, per dimostrare al mondo che quel ragazzino prodigio, il predestinato, il ‘Faraone’ appunto, non se ne era mai andato. Mantenere quelle tacite promesse forse era il suo cruccio, il suo fardello, quella roccia che come un novello Sisifo continuava a rotolare a valle nonostante i suoi sforzi.

Come spesso accade le svolte che fanno girare il vento mettendocelo in poppa sono largamente inaspettate. La piazza della Roma giallorossa stava vivendo nel suo insieme lo stesso dramma vissuto personalmente dal giovane ‘Faraone’, grandi aspettative e sogni bruscamente infranti. Ma al timone della nave, durante la tormentosa tempesta, era arrivato un nuovo comandante, un uomo che non voleva predicare fede o speranza ma insegnare passione, lavoro e disciplina. Un uomo che aveva il compito di trasformare un esercito di ragazzini impauriti in uomini in grado di assumersi delle responsabilità. Quest’uomo, senza neanche saperlo, era proprio colui che Stephan stava cercando.

A guardarlo oggi El Shaarawy sembra rinato, è tornato al gol ma, soprattutto, ha riacquistato quella fiducia che per troppo tempo era mancata, la sicurezza che permette a un giocatore di osare, di rischiare senza perdere la lucidità. Il ‘Faraone’ è tornato a correre e a sorridere. Ora che è tornato, però, non chiediamogli nuovamente di essere il salvatore, smettiamo di far finta che un singolo possa cantare e portare la croce per una comunità. Si vince e si perde sempre tutti insieme. Con tanto lavoro, con il giusto spirito di sacrificio e una buona dose di umiltà anche il ‘Faraone’ rialzerà la cresta e, chissà, forse anche tutto il popolo giallorosso insieme a lui rivedrà la luce in fondo all’oscurità.

Giuliano Masciangioli

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