Sbravati: “Ecco come ho portato il Faraone a Genova”

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L’ex responsabile del settore giovanile genoano, Luciano Sbravati, ha raccontato la storia del passaggio di El Shaarawy al Genoa all’AS Roma Match Program.

Come andò quel trasferimento?Parliamo di dodici anni fa. Io ero a capo delle giovanili del Savona e avevamo alcune società satelliti dalle quali attingevamo per prendere ragazzi. Una di queste era il Legino dove giocava questo ragazzo molto talentuoso, si chiamava Stephan El Shaarawy. Come fui nominato responsabile del settore giovanile del Genoa, lo portai con me e da lì iniziò tutto“.

Qual era il ruolo del ragazzo, allora?Da tesserato del Genoa la sua prima squadra fu Giovanissimi fascia B. Ero io l’allenatore di quella categoria. E schieravo Stephan da mezzala alla Perrotta, se vogliamo fare un paragone molto citato negli ultimi tempi con il ritorno di Spalletti alla Roma“.

Da centrocampista offensivo, quindi. “Sì, proprio così. Lui è un centrocampista offensivo, che ovviamente può agire anche sulla fascia da esterno in un sistema 4-3-3. È quello il suo ruolo ideale dove anche nella Roma può fare bene. Sa cosa ha pagato il ragazzo in questi ultimi anni?“.

Cosa?Oltre ai tanti infortuni che lo hanno bloccato, l’opinione pubblica è stata fuorviata da quella stagione esaltante al Milan in cui segnò sedici gol. Quello fu un fatto eccezionale, ma non in linea con le caratteristiche tecniche. Lui – come detto – è un centrocampista offensivo o un attaccante esterno. È un giocatore da 8-10 gol a stagione. Sa fare con grande qualità la fase offensiva e quella difensiva, ma – ripeto – non è un centravanti da 20 reti“.

Caratterialmente lo può descrivere?Stephan ha bisogno di sentirsi importante in una squadra. Se avverte la fiducia dell’ambiente e dei compagni, può fare grandi cose. A mio avviso, la Roma ha fatto un ottimo acquisto e un investimento oculato. Non scordiamoci che parliamo di un classe 1992, uno dei pochi talenti cristallini del nostro paese. Conte, uno che non regala niente a nessuno, lo convoca spesso in Nazionale“.

Quando vi rendeste conto che El Shaarawy sarebbe diventato un giocatore da Serie A?Lui ebbe tra i 14 e il 15 anni una considerevole esplosione atletica e tecnica. In quel momento ci accorgemmo di avere tra le mani un potenziale professionista. A 16 anni abbondanti, poi, con l’esordio in Serie A con il Genoa, capimmo che sarebbe potuto diventare un elemento da top club. Inoltre, lui ha anche un paio di storie che lo possono legare alla Roma“.

Racconti… “Una, immagino, la ricorderete bene…“.

Allude al gol sul campo di Trigoria in finale di Coppa Italia?Esattamente. Era un sabato, l’11 aprile del 2009. Segnò il gol del momentaneo vantaggio con una giocata pazzesca, poi perdemmo 2-1. Tuttavia, al ritorno facemmo 2-0 e vincemmo il trofeo“.

L’altra storia, invece? “Qualche mese dopo, dicembre 2009, accompagnai Stephan a Frascati a ritirare il premio Amedeo Amadei alla presenza dell’ex centravanti della Roma che gli consegnò il riconoscimento per l’esordio in Serie A. C’erano pure Alessandro Crescenzi e Claudio Ranieri“.

A proposito di calcio giovanile, che momento è per il sistema nazionale?Ci sono molti meno talenti naturali, è sotto l’occhio di tutti. Sta ai responsabili dei vari settori creare e formare giocatori“.

E perché nascono meno talenti? “I ragazzi oggi sono distratti da troppe cose, sono più pigri. C’è indubbiamente poca fame nel voler sfondare. Noto pure meno talenti da strada che concepiscono il calcio come un divertimento“.

Come si può risvegliare il movimento calcistico italiano? “Servirebbero regole federali più stringenti, che obblighino le società ad avere in prima squadra un “tot” di giocatori provenienti dal vivaio. Qualche regola nuova è stata introdotta, ma a mio avviso ancora non basta per tornare ad essere protagonisti. Intanto, mi accontenterei di rivedere El Shaarawy tra i protagonisti del calcio, stavolta con la maglia della Roma“.

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