10 cose da sapere su Monchi: dall’orologio di Maradona ai 9 trofei vinti

0
165
La Roma ha un nuovo direttore sportivo – Ramón Rodríguez Verdejo, meglio noto come Monchi.

Lo spagnolo ha trascorso quasi tutta la sua vita lavorativa al Siviglia, militando inizialmente nelle giovanili del club prima di seguire la sua vocazione e svolgere il ruolo di direttore sportivo dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.

In questo ruolo – lo stesso che andrà a ricoprire nella società giallorossa – ha contribuito a rendere il club andaluso uno dei più vincenti e competitivi a livello nazionale ed europeo, oltre a individuare e a crescere calciatori che sarebbero poi diventati i talenti più luminosi delle rispettive generazioni.

Ecco le dieci cose da sapere sul 48enne dirigente andaluso.

1. È il ragazzo del posto che ce l’ha fatta…

Ramón Rodríguez Verdejo è nato a San Fernando, vicino a Cadice, nel 1968, a due ore di macchina da Siviglia seguendo la E-5. Le grandi doti da portiere mostrate in giovanissima età gli consentono di entrare a far parte delle giovanili dei Rojiblancos, confermandosi una giovane promessa. Promessa che cercherà di mantenere grazie al grande impegno profuso e al duro lavoro messo sul campo per migliorarsi, cosa che colpisce sin da subito i suoi allenatori.

Monchi segue quindi il percorso di molti giovani spagnoli dell’epoca – debuttando con la maglia del Siviglia B nella stagione 1988-89 e facendosi le ossa nelle categorie inferiori prima di essere promosso in prima squadra nell’estate del 1990.

2. All’esordio è subito vittima di un doloroso infortunio

Prima di esordire nella prima squadra del Siviglia all’età di 22 anni, Monchi non si era mai discostato – per sua stessa ammissione – dall’immagine di un portiere di riserva affidabile, se non scarsamente utilizzato.

Lo stesso Monchi avrebbe poi quasi rinnegato i suoi giorni da calciatore, definendosi in una recente intervista come “l’ultimo dei ragazzacci: un portiere di riserva di 23 anni”. Il suo esordio nel 1991 viene ricordato principalmente perché lo spagnolo, dopo essersi lussato un dito, si rifiutò di essere sostituito, ritenendo che per molto tempo non avrebbe avuto più la possibilità di scendere in campo.

3. Nella sua decennale carriera non è quasi mai stato titolare…

Nel corso della carriera, Monchi ha ricoperto quasi sempre il ruolo di secondo portiere, riuscendo raramente a giocare con continuità in prima squadra – solitamente in caso di infortunio o squalifica del portiere titolare.

Complessivamente, lo spagnolo ha disputato 85 partite in nove anni, 20 delle quali nel suo ultimo anno da giocatore, in cui ha contribuito a riportare il Siviglia nella Liga al termine della stagione 1998-99.

4. L’orologio? Un regalo di Maradona…

Parte di quel periodo lo ha trascorso in compagnia di un certo Diego Maradona e le qualità di Monchi come dirigente stavano probabilmente venendo a galla. Sebbene sul campo l’utilità dello spagnolo fosse limitata, Monchi fungeva da ascoltatore e confidente per i talenti più importanti del club.

Assediato ovunque andasse, Maradona era solito camminare per Siviglia la mattina presto per pensare e schiarirsi le idee. Monchi – non un grande dormitore – si univa spesso all’argentino e tra i due è subito nata un’amicizia profonda.

“Come persona gli darei il massimo dei voti” – avrebbe poi detto Monchi al Guardian – “come giocatore non sarebbe bastata una scala di valori”.

Maradona ha una volta dichiarato – forse scherzando – che il Rolex di Monchi era un falso, come poi ammesso dallo stesso spagnolo. Prima di andarsene dal club, Monchi ha ricevuto dall’argentino un Cartier nuovo di zecca – un segno di rispetto e apprezzamento nei confronti di un uomo che probabilmente non ha avuto molto da offrire in senso strettamente calcistico.

Forse conscio dei propri limiti come portiere di alto livello, dopo aver contribuito alla promozione della propria squadra Monchi ha deciso di appendere i guanti al chiodo.

Dopo meno di un anno, lo spagnolo ha intrapreso un percorso completamente diverso, che lo avrebbe portato a essere una figura fondamentale della squadra da lui tanto amata.

5. Da portiere a direttore sportivo in tempi record

Nel 2000, con il Siviglia retrocesso in Segunda DIvisión per la seconda volta e nel mezzo di una piccola crisi, la società si rivolge a Monchi per uscire dal periodo turbolento; l’ex portiere, inizialmente in società nel ruolo di delegato di squadra (incaricato di gestire le formalità nel giorno dell’incontro e simili), viene presto investito della carica di direttore sportivo.

Il club avrebbe poi riguadagnato la massima serie nella sua prima stagione da dirigente: uno sviluppo non certo imprevisto nel tempo, anche se il piano societario prevedeva come obiettivo nel suo primo anno una tranquilla salvezza.

6.  Crede nei talenti cresciuti in casa tanto quanto nei movimenti di mercato

Sono state due le linee guida che hanno sin qui caratterizzato la carriera di Monchi: l’acquisizione di talenti ancora acerbi da un lato e la crescita dei giocatori delle giovanili dall’altro. Se l’esplosione (e la successiva vendita) di stelle come Dani Alves, Julio Baptista e Seydou Keita hanno contribuito ad accrescere la reputazione del dirigente spagnolo, è stata la fiducia riposta inizialmente nei confronti di giocatori quali José Antonio Reyes, Sergio Ramos e Jesús Navas (tutti talenti cresciuti in casa) a consentire al Siviglia di diventare una grande squadra.

Nella prima stagione dopo il ritorno nella massima serie, il Siviglia si classifica ottavo, grazie anche al grande contributo di un giovane Reyes. La stagione successiva chiude il campionato in nona posizione. L’anno dopo, con Alves, Reyes, Ramos, Baptista, Antonio Puerta e altri giocatori rodati, la compagine andalusa termina il campionato al sesto posto, dando inizio a un periodo temporale di sette anni in cui il Siviglia si classificherà stabilmente tra le prime sei squadre del campionato spagnolo.

E la bacheca – che era stata sempre la stessa dal lontano 1948 – comincia nuovamente ad accogliere trofei.

7. Sa come sostituire giocatori importanti

Sin dal 2006, quando il Siviglia conquista quella che sarà la prima di cinque Europa League (la competizione era ancora chiamata Coppa UEFA), i grandi club iniziano a mettere gli occhi sui talenti più luminosi della squadra andalusa. Reyes e Sergio Ramos erano stati venduti (rispettivamente all’Arsenal e al Real Madrid) e subito sostituiti da giocatori del calibro di Luis Fabiano e Frederic Kanouté.

Sarebbe diventato un leitmotiv: il Siviglia vinceva, vendeva alcuni dei suoi talenti più richiesti alle corazzate europee e acquisiva nuovi talenti, che riuscivano ad ambientarsi istantaneamente, quasi fossero lì da sempre. Negli ultimi dieci anni di Monchi, solo due volte il club non è riuscito a classificarsi tra le prime sette (ma mai fuori dalle prime 10), nonostante la qualità della Liga e la perdita di giocatori come Alves, Ivan Rakitic e molti, molti altri.

8. Parla quattro lingue…e segue 250 giocatori contemporaneamente

Monchi parla correntemente spagnolo, francese e inglese e sta rapidamente aggiungendo a questo elenco anche l’italiano. Il dirigente spagnolo ha spesso fatto capire quale sia il suo approccio per individuare e acquisire nuovi talenti. Al Siviglia aveva quasi 20 scout che guardavano partite in giro per il mondo (alcune fonti dicono che i suoi “informatori” siano nell’ordine delle centinaia), e lo stesso Monchi guarda fino a 10 partite a settimana.

Da qui Monchi tiene un elenco di circa 250 potenziali trasferimenti, per tutti i ruoli, assegnando a ciascuno un grado di interesse. Successivamente si cerca di stringere su obiettivi specifici, a seconda delle circostanze, rimuovendo alcuni nomi in fase di negoziazione se si rivelano troppo complicati da raggiungere (o troppo costosi) e continuando a trattare per gli obiettivi che soddisfanno i parametri di tutte le parti coinvolte.

Questa meticolosa rete di scout in costante espansione ha consentito al Siviglia di riuscire a sostituire qualsiasi giocatore e si è dimostrata cruciale affinché il club potesse continuare ad essere competitivo su tutti i fronti per più di dieci anni.

Nei suoi 17 anni da dirigente, Monchi ha messo sotto contratto più di 150 giocatori, gran parte dei quali si sono poi rivelati delle scommesse vinte.

9. Al Siviglia ha vinto 9 trofei

I costanti successi di mercato collezionati da Monchi gli hanno consentito di guadagnarsi la reputazione di santone del mestiere, una nomea che ha finito per oscurare qualsiasi altra cosa. Nelle interviste, infatti, gli veniva chiesto quasi esclusivamente quale fosse il suo approccio in materia di mercato e, in sostanza, gli veniva posta una sola domanda chiave: se preferisse acquistare giocatori a prezzi bassi oppure venderli generando enormi profitti.

Monchi ha sempre risposto “nessuna delle due”, precisando che “l’importante è vincere trofei”. Anche sotto questo aspetto, lo spagnolo non ha deluso.

Dopo aver vinto la Coppa del Re nel 1948, il Siviglia non aveva più alzato al cielo nessun altro trofeo in più di 50 anni. Prima che arrivasse Monchi. In appena cinque anni, l’andaluso ha infatti invertito la rotta e il club, nel 2006, ha fatto propria la Coppa UEFA battendo in finale il Middlesbrough.

Nei dieci anni successivi, alla bacheca si sono aggiunte altre quattro Coppe UEFA/Europa League, assieme a due Coppe del Re e due Supercoppe – una spagnola e una europea.

Più recentemente, il Siviglia ha conquistato l’Europa League nelle ultime tre stagioni (un record nella storia del calcio europeo). La società che non era riuscita a vincere nulla in quasi sessant’anni aveva cominciato a vincere trofei su trofei – nove in totale sotto il “regno” di Monchi.

10. Ha lasciato il Siviglia da “leone” e arriva alla Roma ancora più affamato

Non sorprende, quindi, che il club andaluso abbia tributato a Monchi un saluto pieno di gratitudine quando, all’inizio dell’anno, lo spagnolo ha annunciato di voler lasciare il Siviglia alla ricerca di nuove sfide.

Presentato al centro del Ramón Sánchez Pizjuán assieme ai trofei vinti da dirigente, Monchi ha indossato la maglia del Siviglia con dietro scritto “Puerta 16”, in omaggio ad Antonio Puerta – un prodotto del vivaio rojiblanco tragicamente scomparso nel 2007 nel corso di una partita.

In passato, Monchi ha scherzato dicendo che allo stadio nessuno viene ricordato per i grandi risultati economici raggiunti. E in quella giornata ha avuto ancora una volta ragione. I nove trofei vinti dal suo Siviglia (assieme a una serie di altri premi ricevuti) sono stati fatti sfilare per il campo tra gli applausi del pubblico.

Salutato come un “leone” del club – lo stesso termine utilizzato nel suo account Twitter – Monchi non è riuscito a trattenere le lacrime, mentre le parti si salutavano con un addio pieno di gratitudine.

Ora Monchi arriva alla Roma con l’intenzione di creare un lascito altrettanto importante…

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.